l'angolo di roberto

Da sempre appassionato di montagna in tutte le sue sfaccettature, Roberto ci rallegra da anni con i suoi articoli e i suoi aneddoti
Ne pubblichiamo una selezione per renderne tutti partecipi

LA PRESIDENTA

Goldha Mehir, Indhira Gandhi, Margaret Thatcher, chi non ricorda questi nomi, questi famosi e influenti personaggi che al, femminile, hanno occupato posti di assoluta rilevanza nello scacchiere internazionale.
Cosa avranno provato i loro mariti quando cotante consorti sono assise a tali incombenze? Smarrimento, gioia, invidia per un successo non loro, preoccupazione per le gravi problematiche, gratificazione per dividere il talamo nuziale con una donna presidente? Chi può sapere tali sensazioni? Io, io ho vissuto e sto vivendo emozioni simili, io so cosa si prova, io so dare una risposta a questi quesiti, perché io sono il marito della PRESIDENTA, proprio così, tutto maiuscolo e al femminile. Le voci giravano da un po’ di tempo, nei corridoi di Vicolo Santo Spirito si sussurrava con sempre maggiore insistenza il nome di chi sarebbe dovuto succedere al Presidentissimo. Io interpellavo trepidante la mogliettina speranzoso di chiarimenti tranquillizzanti, invece avevo risposte sibilline, sorrisetti inespressivi, frasi del tipo “no per carità giammai un tale incarico, forse”, “non ho tempo per queste cose, non molto”.Qui gatta ci cova, pensavo, mi affidavo alle opposizioni interne, alle quinte colonne, alle alleanze trasversali, alla lotta tra i vari candidati per i vertici del sodalizio, non mi restava che attendere il responso delle urne. Urne, opposizioni, candidati? Manco per le balle, candidata unica e in un batter d’occhio ecco affibbiata la patata bollente della presidenza. Così me la vedo tornare a casa a tarda sera allegra e saltellante , “sono la PRESIDENTA, trullallà, che gaiezza, trullallà!” canticchiava leggiadra. Boh! Quale futuro mi aspettava da coniuge di PRESIDENTA? Cene, party, buffet, grigliate; col cavolo! Il primo direttivo me lo sono trovato in casa e con i tempi geologici di decisione del GGN alle ore piccole erano ancora ai preamboli. Speravo nell’auto blu e invece non ci hanno dato neppure un barattolo di vernice col pennello (a me lo avevano dato, ed ero solo vicepresidente di altro club), il telefonino presidenziale con videocamera, gps, 24 led, kroll e maniglia non l’abbiamo nemmeno visto e la segretaria personale con cui la PRESIDENTA lavora e il consorte si sollazza? Neanche quella. Insomma nessun privilegio. Il mio privilegio è svegliarmi ogni mattina e vedere, prima di chiunque altro, in pigiama e ancora profondamente dormiente la PRESIDENTA.
La dura vita di chi è al vertice, telefonate ad ogni ora. Siamo riuniti attorno al desco a consumare il nostro pasto frugale che, driiin! Il malefico trillo: “ah si, la riunione, la relazione, l’attivo, il convegno, l’incontro”; siamo rapiti davanti alla tv a seguire appassionanti telenovelas che al momento cruciale zac! Riecco il trillo guastatore. Ad ore tarde già tutti abbandonati tra le braccia di Morfeo qualcuno deve conferire urgentemente con la PRESIDENTA “il comitato centrale dell’AGSP rammenta il protocollo d’intesa con l’SSI che va vidimato in accordo con la segreteria centrale del CAI senza dimenticare di coinvolgere il WWF e l’Oratorio di S Martino, trattasi di cosa urgentissima, di competenza presidenziale!”. Altra incombenza: bisogna presenziare alla cerimonia di inaugurazione della lapide dedicata all’archeologo ignoto, seguirà rinfresco, non si può mancare e si raccomanda l’alta uniforme con casco e pennacchio, anche il consorte dovrebbe partecipare con tuba , marsina e galoscie.
Al convegno intercondominiale di speleologia subacquea bisognerà tenere opportuna allocuzione; a notte fonda la consorte è ancora impegnata a vergare a mano pagine e pagine del suo breve intervento, è nervosa e stanca, poi, ecco l’idea, “Gianni, perché non ci vai tu? Intanto conosci tutti e poi a te piacciono queste cose”. Bene, anche questa è stata evitata.
Una funzione da presidente è di mediare, stemperare gli animi, smussare gli angoli e fluidificare gli eventi. C’è chi protesta “Io con Eriberto in grotta non ci vado più perché è uno scorreggione e mi asfissia”, “va bene, tu starai davanti ed Eriberto dietro”.Chi lancia un grido di allerta: un gruppo nemico ci sta fottendo una grotta nel nostro territorio, dobbiamo affrontare il problema. “OK, tritolo o C4?”. Chi propone: facciamo un corso super propedeutico per abissi profondi “Boh?!”, facciamo una grigliata in campagna “Siiiiiii!!!!!”. La PRESIDENTA, fiera del suo segno zodiacale (bilancia) pondera, giudica e media sapientemente. “Facciamo un campo di quelli tosti in ambiente austero e spartano senza niente, neanche le tende”, “no, meglio un bell’hotel comodo con aria condizionata , ristorante e area fitness per un relax post ipogeo”; troviamo un compromesso: si prenota un hotel ma si dorme per terra e se fa freddo si tengono le finestre aperte; ah, novella discepola del saggio biblico re.
L’attività che la PRESIDENTA preferisce e di cui è fiera paladina è portare moltitudini di ragazzini delle scuole in grotta, una missione da chioccia, “forza piccolini, non abbiate paura, tutti dietro a me”, tra sbadigli, sbuffi e mugugni la disordinata massa di adolescenti segue svogliata la signora con casco e fiammella. “Facciamo la prova del buio e del silenzio è una cosa interessante, ne trarrete giubilo”, i pargoletti (maschi e femmine) si scatenano in una bagarre di sinfonie corporee da mettere in imbarazzo un reparto di parà turchi,alla faccia del buio accendono bengala, lumini, molotov, spinelli che fanno più luce di una torcia, lo sbattimento e il menefreghismo è totale; ai primi banali sassi da scavalcare, però, il panico si diffonde, dal gruppo prima spavaldo e arrogante ora emergono pianti e lamenti, chi invoca la mamma, chi maledice il progetto speleo a scuola , chi esprime gli ultimi desideri e si confessa, chi ostenta sicurezza cantando sguaiatamente, chi per continuare vuole la manina. Ma la nostra eroina non demorde, la speleologia è una missione, qualcuno si convertirà e diventerà uno dei nostri e un giorno reggerà le sorti del Gruppo.
La snervante e stressante attività della nostra PRESIDENTA, contrariamente a quella delle citate colleghe di inizio articolo, durerà solo un anno, anzi probabilmente quando leggerete queste parole, l’anno sarà già passato e si porrà il problema di chi occuperà lo scranno presidenziale per il 2007. Forse tornerà a reggere le sorti del gruppo il Presidentissimo, forse ci saranno nuovi pretendenti, forse ci sarà una lotta accanita per accedere al titolo o forse si sarà alle solite dove alla domanda “chi fa il Presidente?”, la sala si svuota (io, illustri lettori, alle assemblee per evitare coinvolgimenti, delego la moglie e tra un po’ delegherò anche la figlia, che vergogna!). La patata bollente la sbuccerà qualcun altro e io non sarò più il consorte della PRESIDENTA, ma, che c’è?! Mi dicono dalla regia che può essere rieletta anche per i prossimi anni ad libitum. Oh cacchio!

ACCOMPAGNATI E ACCOMPAGNATORI 

Accompagnare: portare neofiti alla scoperta delle meraviglie del mondo sotterraneo. Una missione paragonabile al compimento dell' Opera per i Massoni. Il GGN ci crede e, animato da spirito missionario come i Gesuiti al seguito dei Conquistadores spagnoli, ecco l'intero corpo sociale profondamente impegnato.
Gli accompagnati arrivano alla spicciolata. Eccoli: ci si scruta e ci si studia. Noi, uomini e donne dalle variopinte tute spesso lacere e lerce. "Se non lavano le vesti, come saranno i loro corpi? Dobbiamo fidarci di queste persone?". Si sbrigano le formalità burocratico-amministrative tra scartoffie, timbri, assicurazioni e testamenti. Tra gli accompagnati c'è di tutto: gagliardi giovanottoni pronti ad ogni esperienza maschia e adrenalinica, basta che non ci si sporchi o che si faccia troppa fatica. Famigliole con pargoli perplessi che non capiscono perchè i loro genitori debbano trascinarli in avventure dall'incerto esito. Fidanzatini avvinghiati l'un l'altra che sembrano usciti da un fumetto di Peynet; si sbaciucchiano, si guardano persi e seguono il gruppo senza capire perchè. Giovani donne angosciate dallo smalto delle unghie e dai capelli soffocati dall’orribile caschetto che non è nemmeno in tono con la loro mise. C’è anche un adolescente con le cuffiette dell’ I-pod praticamente fuse nelle orecchie, inebetito da un inascoltabile frastuono e con braghe a mezza chiappa.
"Avete i ricambi completi? Lei entra in doppio petto e scarpe da 2000 dollari?", "Si, è il vestito più brutto che posseggo","'sti cazzi!". "Signorina, gli stivali vanno bene ma il tacco 10 in grotta non molto, fuori si, mi piace, caspita se mi piace!". "Anche lei con il piumino bianco, il para orecchie rosa e la gonnellina fosforescente, è sicura che vada bene?", "Fatti i cavoli tuoi, ho pagato e entro come mi pare!"
"Chi ha problemi lo dica che lo piantiamo lì, se state male cercate di stare bene, non siamo medici: ma non preoccupatevi che i visitatori li portiamo fuori quasi tutti!". I bambini piangono, i fidanzatini si stringono in un abbraccio straziante, gli altri boffonchiano che forse era meglio la consueta domenica al centro commerciale.
Il gruppo varca la soglia e sprofonda nell’oscuro antro.
"Come si formano le grotte? Che condizioni fisico-chimico-geomorfologiche necessitano? Che rocce avete attorno a voi?", "Perchè ci fanno le domandine, per farci sentire ignoranti? Ma ditecelo voi, perdindirindina! E non state lì con quel sorrisetto ebete ad aspettare le risposte".
"Adesso ditemi, da che parte si va?", "Un' altra domanda e ti spacco la faccia, grottologo saputello, andiamo avanti senza tante balle". Si prosegue facendo notare tutte le meraviglie ipogee: la stalattite rotta, le gocce d'acqua nel collo, l’insetto morto e delle ossa che si spacciano per quelle di un visitatore che non ha seguito gli ordini degli accompagnatori. I bambini non hanno più lacrime, i fidanzatini iniziano a rimpallarsi l'idea della gita in grotta.
"E' giunta l'ora della prova del buio; vediamo se con voi finalmente riusciamo a farla, perchè con quegli impediti dell'altra volta non c'è stato nulla da fare. Spegnete le luci e statevene zitti per almeno un minuto, dovreste riuscire, porca miseria! Passate la mano davanti agli occhi, cosa vedete?", "Io un coniglio rosa","Io un tamburino sardo", "Io un nano nudo" e poco dopo "Ciaff! la mano davanti agli occhi non sul mio culo, porco!" la voce era quella della fidanzatina, la mano non si sa.
“Avete domande?”, “Che brutte bestie ci sono in grotta?”,”Voi!”, “Qui dentro manca l’aria, prima credevo di soffocare”,”L’aria non manca, è quel panzone lì che chissà cosa ha mangiato e continua a mollare come una mongolfiera bucata”. Altre domande intelligenti non ne vengono fuori, solo l’adolescente vuole sapere dove sono nascosti i marocchini con l’erba.
Si continua la visita e ad un certo punto il grottologo saputello (che spesso è una grottologa ma la sostanza non cambia) si erge su un mucchio di sassi e propone che a condurre il gruppo verso l'uscita sia un visitatore, intanto per vivacizzare la giornata. Ci sono momenti di panico: i bambini temono che, se non si uscirà in tempi brevi, i primi ad essere sacrificati e trasformati in cibo tenero e proteico saranno loro. Quattro spavaldi fustacchioni con mille esperienze alle spalle, un passato da paracadutisti e appassionati spettatori della trasmissione Wild, scoppiano in un pianto isterico. L’adolescente non si accorge di niente, è preoccupato solo delle batterie dell’ I-pod. Ognuno cerca la via dell'uscita a proprio modo: chi si mette a scavare freneticamente come un cane da valanga, chi gira a tentoni con la luce ormai al lumicino, chi si inginocchia e prega divinità inventate sul momento, chi vuole sodomizzare il grottologo saputello. A quel punto una bimbetta di cinque anni prende in mano la situazione: "Branco di somari, piantatela di fare casino e seguitemi. Sapevo di non potermi fidare di questi speleopatici e così ho smontato la mia Barbie e ho fatto come Pollicino. In poco tempo saremo finalmente fuori da questo posto fetente". Dannata monella, ha guastato la festa agli accompagnatori che si divertono sempre un sacco a mettere in crisi gli accompagnati per poi farsi pregare di portarli fuori e vestire così tronfiamente le vesti degli eroi. Sentirsi importanti è troppo bello.
Riecco la luce del sole, tutti vivi, tutti sani, tutti fuori. La tensione ora è calata, c’è addirittura chi sorride e ringrazia, i bambini non piangono più, la bimbetta intraprendente schiva una pedata del grottologo saputello, i fidanzatini sono ancora in rotta di collisione, lei si è invaghita di un giovanottone pieno di tatuaggi e lui anche. L’adolescente è un po’ deluso, gli avevano detto che il rave-party sarebbe stato da sballo e invece non è successo niente, quel che è peggio è che non riesce a trovare i marocchini.
L’unica cosa che conta, ora, è il cibo. Sgargarozzarsi un po’ di vino e ingurgitare senza ritegno salumi, formaggi, dolciumi, focacce, nespole, canditi e anacardi. Bisogna fare in fretta perché il secondo gruppo è già in arrivo. Chi ci sarà questa volta? Cosa vedranno davanti agli occhi quando saranno al buio? Risponderanno alle domandine o partirà uno sganassone che zittirà il Mike Buongiorno delle grotte? Entreranno in smoking e infradito o in tenuta da combattimento con elmo e baionetta?
Qualcuno, per gratitudine e riconoscenza, ha lasciato agli accompagnatori graditi doni: pile cinesi nuove ma già scariche, mezzo salamino e una Barbie smontata.
 Gli accompagnatori sono fieri dell’ incisiva azione di proselitismo. Al prossimo corso, gli allievi, giungeranno a frotte da ogni parte d’Italia, motivati e desiderosi di entrare al più presto nelle squadre di punta per esplorazioni a meno mille, tutti ne sono certi: le premesse ci sono.


ARCHEO FUTURO

Il sofisticato congegno robotizzato analizza palmo palmo tutta la scabra superficie rocciosa. I dati raccolti vengono inviati agli Istituti Globalizzati di Archeologia. Si cercano testimonianze di una antica civiltà risalente a circa 4000 anni prima: più o meno il 2000 dopo Cristo.
Gli uomini dell’epoca si consideravano molto avanzati ed eruditi, padroni di alta tecnologia. Purtroppo, cataclismi naturali, guerre, migrazioni e carestie, travagliarono i millenni successivi e molto, moltissimo andò distrutto. Pare che i dati più importanti, gli uomini del tempo, li affidarono a rudimentali marchingegni elettronici. A quei tempi ritenevano che traducendo tutto in numeri e mettendo le informazioni su aggeggi chiamati cd, dvd, chiavette usb, avrebbero salvato per sempre il loro sapere. Nulla fu più sbagliato: tutto fu cancellato dalla mutazione dei campi magnetici, nulla si salvò. Restò solo ciò che fu trascritto su di un supporto ancora più antico ma che si rivelò più affidabile: la carta.
Ora una campagna di scavi e di ricerca condotta dai migliori archeologi del mondo, cerca di far luce su quel lontano periodo.
L’androide ricercatore avanza lentamente, in prossimità di una spaccatura della roccia, si ferma; il suo sensore ha captato qualcosa. La sonda penetra la scura fenditura per decine di metri, percepisce una forma, invia le informazioni agli archeologi in laboratorio. Non c’è dubbio è un corpo umano. Si mandano immediatamente gli androidi-scavatori che in poco tempo portano alla luce un corpo perfettamente conservato. Grazie al teletrasporto in pochi minuti, il prezioso reperto è già davanti agli occhi indagatori degli studiosi.
In breve tutti i luminari si riuniscono attorno alla vetusta salma per analizzarla in ogni suo dettaglio.
Trattasi di essere umano di sesso maschile, razza bianca, taglia ridotta, presenta peluria grigia sulle gote e sotto il naso. Tuttavia, ciò che stupisce gli studiosi è lo strano indumento indossato, pare essere un pezzo unico che veste interamente il soggetto. Sul petto si nota una scritta in caratteri arcaici, con difficoltà viene tradotta: L.Ochner. Gli esperti non hanno dubbi, si tratta del nome dell’uomo che hanno di fronte. Ma cosa ci faceva il Signor L.Ochner in quel buco profondo e buio? Era caduto accidentalmente? (il ritrovamento di una corda presso il corpo, fece, però, supporre che la dentro ci si ficcò volontariamente). Gli archeologi avanzarono l’ipotesi che stesse nascondendosi da qualcosa o da qualcuno. Era forse implicato in losche faccende? La successiva indagine degli orpelli che aveva indosso L.Ochner non fece che accrescere gli interrogativi. Gli esperti dovettero far ricorso a tutte le loro conoscenze e professionalità.
L’uomo dell’antro oscuro portava uno strano indumento che gli fasciava le cosce, il busto e le spalle al quale erano agganciati oggetti metallici dalla forma asimmetrica che presentavano snodi e molle.
Il sofisticatissimo e modernissimo analizzatore, uno strumento atto a decrittare scritte antiche, analizzare materiali sconosciuti e dar loro un significato, annaspava nel buio senza poter fornire alcun risultato utile. Riuscì solo a decriptare alcune scritte: Petzl, Kroll, Camp. I professori anziani anche questa volta non ebbero dubbi: erano i nomi di antiche divinità e gli oggetti erano semplicemente: “la traslazione fisica, tridimensionale di elaborazioni astratte legate alla interpretazione metafisica dell’essenza spirituale”. Tutti concordarono.
Il signor L.Ochner era dunque, senza dubbio, un sacerdote e probabilmente si trovava in quel posto assurdo per ragioni squisitamente ascetico-religiose.
Curiosissimo era lo strano copricapo: una sorta di mezza sfera rigida, rossa con un oggetto metallico posto sulla parte anteriore. Sicuramente si trattava di un qualcosa riconducibile alla posizione sacerdotale del soggetto. L’analizzatore riscontrò tracce di combustione presso l’oggetto metallico, come se da quell’oggetto si fosse sprigionato del fuoco, una fiamma. L’interpretazione fu pronta e sicura. L.Ochner sul copricapo aveva una fiamma votiva perenne per dimostrare la sua costante devozione alle divinità.
Il soggetto, aveva con sé una piccola bisaccia: l’apertura e lo svuotamento della medesima fu cagione di grande emozione per l’austera equipe di esperti.
Fu estratto un oggetto metallico, lucido con una strana dicitura: USAG. Un feticcio, nessun dubbio, la forma stessa suggeriva la risposta. Per mezzo di quell’oggetto l’antico sacerdote lanciava anatemi e maledizioni ai suoi nemici. Si faceva strada l’ipotesi che L.Ochner fosse un personaggio potenzialmente molto pericoloso e temuto. Ad ulteriore dimostrazione di questa tesi, ecco uscire dalla bisaccia un pacchetto contenente strane pietre; al professore anziano scappò un poderoso starnuto, lo spruzzo colpì i sassi che subito crepitarono e rilasciarono un odore nauseabondo. Corbezzoli! Una diavoleria del sacerdote! Ecco perché si trovava in quel buco profondo; probabilmente era il suo nascondiglio oppure, suggerì qualcuno, lo avevano calato con le corde per tenerlo lontano dalla collettività. Agli accademici brillavano gli occhi dalla gioia: avrebbero pubblicato un libro virtuale su questa scoperta sensazionale e accresciuto la loro già notevole fama. Avrebbero poi trasmesso telepaticamente le loro elucubrazioni a tutti i vari colleghi.
Le sorprese non finivano, dalla bisaccia uscivano altri strumenti tipici di stregoni, sciamani e sacerdoti di quei tempi lontani: un fischietto rituale atto a scacciare gli spiriti del male e ancora uno strano indumento, perfettamente e strettamente ripiegato tanto da formare un compatto pacchettino. L’oggetto venne aperto e dispiegato sul tavolo dell’Istituto. Sottilissimo, frusciante, lucido, argenteo, pregno di arcana sensualità. Gli studiosi si guardarono stupefatti: il Vice-direttore degli Istituti Globalizzati, avanzò l’idea che quello fosse un lenzuolo usato durante gli accoppiamenti rituali con vergini sacre o con sacerdotesse-prostitute. Purtroppo il reperto risultò mai utilizzato e pertanto privo di qualsivoglia traccia biologica. Fu rammentato che all’epoca di L.Ochner era cosa normale e addirittura piacevole unire i corpi (nudi!) di un maschio e una femmina: era l’unico modo che avevano per procreare. Un’usanza ormai abbandonata da vari secoli a favore di tecniche molto più veloci, programmabili, meno defaticanti e più efficienti. Tuttavia l’intera equipe fu pervasa da uno strano senso di nostalgia per quelle usanze antiche.
Bando ai sentimentalismi, il lavoro da fare è ancora tanto. Chissà quante altre sorprese avrebbe riservato l’analisi del corpo e degli organi interni di L.Ochner: come si nutriva, aveva cibi rituali?
Chissà? Tra i vari strati di indumenti, alcuni veramente bizzarri, i ricercatori riusciranno ad identificare l’organo riproduttore? Pare che gli umani del tempo avessero un vero culto maniacale per quel lembo di carne e ancor più venerato era l’organo femminile. Erano proprio esseri arcaici ancora legati ai riti del piacere carnale e della fertilità. Tuttavia, gli archeologi, consci di essere ben lungi dalla conclusione dei loro studi su L.Ochner, si ritennero, per il momento, pienamente soddisfatti. Avevano compreso, senza ombra di dubbio, l’identità del soggetto, la sua precisa collocazione nel contesto sociale in cui viveva e il significato degli attrezzi che aveva con sé. Risposte chiare, professionali e ben ponderate da fornire al mondo accademico e all’opinione pubblica desiderosa di sapere.

TRASFERIMENTI

I personaggi che popolano il GGN, da sempre hanno tre caratteristiche costanti a prescindere dai soggetti che si sono susseguiti negli anni: fame, sete e gran desiderio di parlare. Per soddisfare queste tre imprescindibili esigenze non c’è niente di meglio che frequenti riunioni conviviali. Birra, vino, salumi, formaggi, torte e tante amenità discorsive. Battute sferzanti su Medardo e Crisostomo (ovviamente solo se sono assenti) e poi frequenti incursioni nei meandri della memoria per far rivivere situazioni particolari. È strano che gli aneddoti più gettonati siano relativi ai trasferimenti in macchina da Novara alle destinazioni grottifere o ritorno, che non a situazioni vissute in grotta. Evidentemente quando si tratta di manovrare kroll, maniglia, discensore e corde, le cose filano via senza troppi problemi e fraintendimenti. Quando il bravo speleo si mette al volante, allora, succede qualcosa di strano. C’è chi per andare a Savona passa da La Spezia confondendo la Riviera di Levante con quella di Ponente e chi, dopo un brutto tamponamento in autostrada, sostiene di aver provato sensazioni di leggerezza inebrianti e piacevoli. Anch’io ho dei cavalli di battaglia spesso riproposti durante i sempre graditi momenti gastronomici. Ora li ripropongo per scritto in modo da tramandarli ai posteri per imperitura memoria.
Tanti anni fa si decise una spedizione nel remoto cuneese con pernottamento in grotta. Io avevo la macchina dal meccanico e un altro istruttore pure. Così si dovette partire con la vettura di un giovanissimo allievo valsesiano. Zaini, sacchi, sacchi a pelo e altre carabattole precariamente affastellati sulle spalle e si lascia vicolo Santo Spirito. “La macchina, temendo di non trovare posto, l’ho lasciata un pochino più in là”, disse il giovane. Carichi come somari iniziamo a camminare , “ma cosa intendi per un pochino in là?”. Intendeva quasi alla fine di via Andrea Costa, cioè un paio di chilometri, ancora un po’ e la parcheggiava in piena campagna. Ci saremmo aspettati una macchina normale, invece era una Suzuki Maruti, poco più di un Apercar. Gulp! Nonostante tutto riusciamo a incastrarci nell’abitacolo: tre persone, tre zaini e X sacchi. Dopo aver acceso il propulsore e capito più o meno la strada da fare, il giovincello ci pone uno strano quesito: “come si guida in autostrada?”. Doppio Gulp! Non c’era mai stato con la sua macchinetta. Brevi spiegazioni sulle tecniche di guida autostradali e si parte. Dopo un paio di chilometri, non un quesito ma una considerazione:” questa macchina ha un problema di ruggine nel serbatoio e così ogni tanto il filtro si ottura e la Maruti si ferma”. Triplo Gulp! Per fortuna aggiunge un tranquillizzante:”ma ora non dovrebbe succedere”. Sarà, però l’idea che avevo di sonnecchiare durante il lungo viaggio, l’ho accantonata. E’ meglio restare vigili e attenti. Il viaggio procede senza intoppi alla velocità di crociera di 85/90 km/h. Arriviamo a destinazione, ci troviamo con tutti gli altri, andiamo in grotta, usciamo, ripetiamo l’incredibile operazione di carico e incastro e ripartiamo alla volta della lontana Novara. Siamo più rilassati e riponiamo fiducia nella Suzuki. Se ci ha portati fin qui, ci riporterà anche a casa. Si chiacchiera e si sonnecchia. Ad un certo punto la vetturetta inizia a tossire e singhiozzare. Quadruplo Gulp! raggiungiamo a balzelloni un distributore. Grazie ad un provvidenziale coltellino svizzero smontiamo il filtro e con l’aria compressa gentilmente messa a disposizione dal gestore, risolviamo l’inconveniente. La Suzuki torna a ruggire. Ci lanciamo a 85/88 km/h ma non siamo più tanto fiduciosi. Il secondo passeggero ha la brillante idea di non passare dalla tangenziale di Torino, così entriamo in città e ci fossilizziamo in un traffico congestionato. Code, semafori, incroci e ancora code e semafori. Finalmente lasciamo la città dei gianduiotti e torniamo in autostrada. Vediamo la meta sempre più vicina, ancora pochi chilometri e saremo a casa, ci disincastreremo da sacchi e zaini e riprenderemo un aspetto umano. Gli dei dell’Olimpo, però, non vogliono così. Mitragliata di Gulp! La macchinina ha un forte conato di vomito, soffre e ci costringe a una fermata nella corsia di emergenza. Un’esperienza che proprio non mi è piaciuta, con le macchine che nel buio sfrecciano a folle velocità. Tutti e tre armeggiamo attorno al piccolo motore; nonostante tre cazzotti e un paio di imprecazioni ben dette la Maruti, non parte. Si riprova, dobbiamo raggiungere il casello di Biandrate. Tra colpi di tosse, singhiozzi e lamenti si riesce nell’impresa. Si paga il pedaggio ma subito dopo, l’automobile nippo/indiana ha dei veri e propri spasmi, dopo un colpo di tosse più forte degli altri, si blocca e non da più segni di vita. Si sfodera nuovamente il coltellino ma manca l’aria compressa: a turno soffiamo con forza ma non abbiamo sufficiente potenza polmonare, si ritentano le tecniche precedenti con cazzotti e imprecazioni ripetuti nello stesso ordine. Nulla. Siamo bloccati nell’oscurità tra le risaie. Le rane gracidano sornione beffandosi della nostra situazione mentre gli aironi sonnecchiano serafici sulla cima degli alberi. Dobbiamo uscire da questa impasse. All’epoca già esistevano i telefonini e così si chiama il papi del giovane valsesiano, il papi dell’altro istruttore e la moglie del sottoscritto. Dopo breve ecco i fari di auto amiche, siamo salvi, vedremo le nostre case e i nostri comodi letti, che gioia! La consorte ha dovuto portarsi dietro anche la culla con l’allora piccolissima e dormiente figlioletta che se si fosse svegliata senza la mamma avrebbe mandato urli da terrorizzare tutto il condominio. Il papi valsesiano sarebbe giunto in soccorso del giovane figliolo un po’ più tardi, visto il percorso più lungo, ma sappiamo da fonti certe che arrivò. La Suzuki Maruti, dicono le cronache, dopo un periodo di convalescenza, ha continuato a ruggire e tossire ancora per un bel po’.
Ritengo di avere un po’ di spazio per raccontare un altro travagliato viaggio di un tempo ancor più lontano. Al massimo i redattori taglieranno qualche pallosissima relazione di buchetti insignificanti.
Siamo in tre con la macchina ovviamente stracarica e la destinazione sono le Alpi Apuane dalla “mamma”. L’indomani si sarebbe entrati in non so più quale grotta. Dico subito che l’aspetto speleologico della vicenda non ha avuto nulla di particolare: tutto normale.
Ritengo che si abbia ben presente, almeno a grandi linee, dove sia collocata la Toscana rispetto alla nostra città e quale sia la strada da percorrere. Appena salito a bordo, vengo informato che avremmo effettuato una “piccola” deviazione. Saremmo passati da Mondovì. Riprendo un Gulp! avanzato da prima. Non ci credo, mi stanno facendo uno scherzo ma io non ci casco, nemmeno quando imbocchiamo l’autostrada in direzione Torino. Arrivati a Biandrate, ne sono certo, usciremo e torneremo sulla retta via. No! Si va proprio verso Torino. Bisogna realmente passare da Mondovì a prendere una nostra amica che partecipava a qualche fondamentale riunione di qualche oscuro gruppo locale. Avanzo timidamente la proposta di cambiare grotta e di sceglierne una da quelle parti, pare ve ne siano. No! Non si può. Perché? perché no, come cantava Jannaci. E così eccoci a macinare chilometri per andare a est quando la nostra meta era a sud ovest. Giunti a Mondovì e trovato il locale della riunione dobbiamo attendere che questa abbia termine, uscire prima nemmeno a parlarne. Arrivati ai commiati e ai ringraziamenti, abbracciati e calorosamente salutati quasi tutti i presenti, caricato zaino e personaggio, si parte. Come se non bastasse il fatto che dobbiamo percorrere tutto l’arco ligure, c’è il problema che dopo la mezzanotte, la “mamma” chiude il locale e chi è dentro è dentro e chi è fuori resta fuori. Capito bischeracci? Brutta prospettiva; quindi, da brave cenerentole meccanizzate, giù di acceleratore. Non c’erano, in quei tempi felici, né tutor né autovelox. Buon per noi e per il povero guidatore. Senza sbagliare mai strada, senza svuotare la vescica, ecco finalmente raggiunta la locanda della “mamma”. Ore 11.54. Ci fiondiamo dentro e, se non ricordo male, riusciamo anche a mangiare qualcosa avanzato da un pranzo di matrimonio.
Non c’è il due senza il tre. Sempre inerente a un trasferimento in zona Apuane si risveglia un altro lontanissimo ricordo. Avevo finito da poco il mio corso che, insieme a un altro corsista e un istruttore, decidiamo di raggiungere altri due nostri amici dalla “mamma”(all’epoca era veramente la “mamma”, poi è la figlia della “mamma” che è diventata la “mamma”, ora, se non sbaglio, non c’è più nè la mamma e nemmeno la figlia della mamma diventata la mamma: mi avete capito?). Tempo da lupi, nevicata fitta sull’appennino ligure con l’auto che prende una bella sbandata e poi pioggia, tanta pioggia fino a destinazione. Entriamo dalla “mamma” e ci sono i nostri due amici intenti a svuotare un piatto ricolmo di cibo. Uno dei due alza lo sguardo, ci vede, sgrana gli occhi e ci urla, con la bocca piena: “ma che cxxxo ci fate qui con tutta l’acqua che viene, le grotte sono piene da far paura e poi quei due hanno la tuta di tela”(io e l’altro corsista). Un po’ perplessi per l’accoglienza e per la situazione in grotta, ci sediamo e aiutiamo i nostri due a svuotare i vassoi e le bottiglie. I saggi decidono che l’indomani si sarebbe fatta una battuta esterna. Dopodiché, si va a nanna. Alle 8 dormono tutti, il collega corsista mi sveglia e mi chiede se l’idea della battuta esterna mi rendeva felice e appagato. Avuta una mia netta risposta negativa, decidiamo di lasciar dormire gli istruttori. Alle 9.30 si svegliano.”Perdindirindina! è tardi non si può fare la battuta esterna”. Ohibò! Che gran dispiacere. Ci consoliamo con una buona colazione e, per non tornare subito a casa, decidiamo di visitare Lucca. Per scaldarci, alla fine della nostra visita, ci beviamo una buona cioccolata calda. Quindi si parte per tornare a casa. Dopo pochi chilometri il giovane corsista abbassa totalmente il finestrino facendo entrare una terribile aria gelida. “Ma ti sei fritto il cervello? Chiudi che fa un freddo polare!”. “Ti assicuro che è meglio il freddo polare. Mi sono dimenticato che la cioccolata a me fa uno strano e duraturo effetto: abbondante produzione di odoroso gas intestinale e successiva espulsione del medesimo”. Non aveva finito la frase che dal suo orifizio anale fuoriuscì una potente bolla gassosa: per un pelo non fummo vittime di svenimento. Aveva proprio ragione: la produzione era notevole, roba da chiamare l’Italgas e installargli un serbatoio nel posteriore. Soluzione adottata: finestrino abbassato, giacca vento, guanti e cappellino di lana fino a Novara come se fossimo stati a bordo di una “spider”. In grotta non ci siamo andati, ma qualche emozione l’abbiamo avuta ugualmente.
Forse è proprio in virtù di queste esperienze un po’ pesanti che sono diventato ostile ai lunghi trasferimenti.
Con questo articolo mi sono bruciato tre vecchie esperienze che non potrò più raccontare tra un bicchiere di birra e una fetta di salame; pazienza, mi limiterò ad ascoltare quelle degli altri che non sono certo da meno.

TRENT’ANNI DEL GRUPPO GROTTE NOVARA

Trent’anni: sono pochi o sono tanti? Dipende, per una donna sono pochi, è un fiore appena sbocciato, per una bottiglia di vino sono tanti, per un ramarro è un traguardo irraggiungibile. E per un Gruppo speleologico? Sono un buon traguardo. Questo è il traguardo che il Gruppo Grotte Novara ha raggiunto nel 2008. L’intenzione del C.D. e di tutti i soci è stato di celebrarlo degnamente con una serie di manifestazioni durante tutto l’arco dell’anno. Si pensava ad un concerto ipogeo con la Berliner Philarmonic Orchestra, ad una corsa di bighe sui baluardi, a una serata di lap-dance con trecento ballerine, si pensò di donare alla città un reticolo di sotterranei scavati ex-novo dai soci. Tutto ciò sembrò, tuttavia, un po’ banale e così si modificò il programma.
I soci si rimboccarono le maniche, presero contatti con gli sponsor, elaborarono idee, si riunirono e discussero, parlarono e ridiscussero e, alla fine, partorirono un programma dignitoso e ben gestibile.
Bisognava mostrare alla cittadinanza cosa il Gruppo aveva fatto nei suoi trent’anni di vita. I corsi, le esplorazioni e i rilievi in Val Strona, in Val Grande, sulle Grigne, alla Grotta Guglielmo nel lecchese, i campi in Sardegna, in Calabria, in Friuli, a Campo Dolcino (Spluga) e anche all’estero in Turchia e in Bosnia. Le molteplici attività di speleologia urbana a Novara, Galliate e in mille altri luoghi. Insomma per essere un Gruppo di pianura, lontano da zone carsiche, di lavoro, in questi anni, ne è stato fatto un bel po’, per buona pace di mugugnoni e disfattisti; un’attività che a molti miei concittadini riesce molto bene: esaltare il poco degli altri e sminuire il molto di casa nostra.
Cosa meglio, quindi, di una mostra fotografica? Sommersi da valigiate di diapositive, i severi selettori, scelsero il meglio, lo fecero stampare e lo esposero in biblioteca. Le memorie storiche del Gruppo furono determinanti per ricordare nomi, date e luoghi. All’inaugurazione non ci furono le code chilometriche come ad una mostra di Monet o di Cezanne, ma l’affluenza fu soddisfacente e anche le critiche per le immagini furono lusinghiere. La mostra ora ha iniziato a girare anche fuori Novara, è stata presentata al Sacro Monte di Ghiffa e in Val Imagna (BG) durante l’incontro internazionale di speleologia. Si farà anche una pubblicazione? Sarebbe splendido ma per far ciò si abbisogna di un congruo quantitativo di baiocchi, talleri e dobloni.
Prima della mostra, in verità, ci fu un’altra iniziativa rivolta alla cittadinanza. Approfittando di una Notte Bianca in centro, il GGN si mise in evidenza accompagnando un cospicuo numero di visitatori curiosi in una cisterna anti-incendio sita in Piazza Santa Caterina. I soci fecero un eccellente lavoro di parziale svuotatura dell’acqua, posarono passerelle e idearono una scenografica illuminazione dell’ambiente. Purtroppo un inopportuno temporale guastò la festa. Peccato, perché il coordinamento tra il banchetto in corso Italia, gli addetti esterni agli imbraghi e alla calata e quelli dentro la cisterna fu notevole. Dei veri professionisti.
Poco male, la classe organizzativa del GGN si mise in mostra in un’ altra occasione: la festa di Sant’Agabio. Qui era di scena una mastodontica auto- gru alla quale furono appese delle corde e a queste si appesero a loro volta alcuni ardimentosi soci per una dimostrazione di progressione su corda. Su un mezzo più piccolo si fecero divertire i ragazzini con salite su scaletta e discesa in sicurezza: si sentì la mancanza di un interprete arabo-italiano. Anche in questa occasione l’affluenza di pubblico e l’apprezzamento furono notevoli, anzi, qualcuno disse che il nostro gazebo era il più gettonato: il fascino degli speleologi fa sempre colpo.
Non dimentichiamoci di un riuscito accompagnamento nelle cave di marmo di Ornavasso con visitatori entusiasti e interessati.
La macchina bene oliata delle manifestazioni non si poteva certo fermare dopo così poco. Così, trascorso l’estate, gli organizzatori tornarono a scatenarsi con una mini-rassegna cinematografica presso il Cinema Araldo nel mese di ottobre. De Niro, Penelope Cruz, Riccardino Geere, l’Angiolina, i Fichi d’India, la Julia, ci subissarono di telefonate, sms, e-mail per poter presenziare alle serate. Ovviamente li mandammo a stendere tutti e quanti: troppo invadenti e presenzialisti. I titoli in cartellone, e non poteva essere altrimenti, riguardarono l’ambiente speleologico. Ma ognuno dei tre film affrontava l’argomento in modo diverso. Il primo, concepito da speleo per speleo, (La lunga notte) celebra la titanica operazione in Margareis per il salvataggio di uno speleo infortunato a meno trecento. Il secondo (L’abisso), più divulgativo, narra le vicende storiche ed esplorative del complesso della Spluga della Preta nel veronese, uno dei complessi più profondi in Europa. Il terzo (The Cave: il nascondiglio del diavolo) è un film commerciale, divertente e d’azione con tutti gli stereotipi puntualmente rispettati: la grotta con i mostri, l’eroe, i colpi di scena, i combattimenti e la sventolona che arrampica in grotta come fosse in falesia con mini calzoncini a tutta coscia. Il quarto appuntamento, più serioso, riguardò la presentazione del libro sui sotterranei del Castello di Novara con relativa conferenza presso la sede CAI. L’affluenza di pubblico ai quattro appuntamenti è stato al di sopra delle più rosee aspettative, regalando, così, agli organizzatori un forte appagamento.
Le manine incessantemente in movimento, i neuroni e le sinapsi in sovra attività dei soci GGN non potevano tralasciare un appuntamento squisitamente culinario, sarebbe stato assolutamente inimmaginabile. Per l’occasione si fecero avanti i conti di La Fayette per offrirci il loro castello in Guascogna, i Costa ci volevano rifilare a tutti i costi una loro barca, per non parlare dei soliti sceicchi che volevano farsi notare invitandoci non ricordo più dove. Si optò per un netto salto qualitativo: la cena di tutti i soci GGN, vecchi e nuovi, l’avremmo consumata a casa di uno dei soci più attivi e disponibili verso il Gruppo. Alle divinità delle grotte fu immolato niente meno che un porcello: impalato come un eretico, fu cucinato e poi sezionato da soci esperti. Quarantotto mandibole si avventarono sulle morbide carni. I palati furono deliziati anche da insalate di riso, torte salate e dolci, formaggi, frutta, vini bianchi e rossi. Insomma, uno tsunami di cibi e bevande ha piacevolmente investito i gioiosi commensali.
Rappresentativi elementi del GGN sono stati ospiti di un raffinato sodalizio cittadino: una brillante conferenza accompagnata da due video proiezioni agili e ben confezionate, han tenuto desta l’attenzione dei numerosi convenuti interessati alle performance del GGN in Bosnia. Da rilevare che i nostri soci sfoggiavano tutti la maglietta d’ordinanza .
La Festa delle Streghe in città ha fornito un’ulteriore opportunità per il Gruppo di mettersi in mostra con un banchetto dove, sciami urlanti di bimbetti e madri apprensive, potevano cimentarsi in un percorso in strettoia; i meno ardimentosi potevano scatenarsi disegnando pipistrelli e grotte: gli elaborati, ben protocollati, ora sono inseriti nell’archivio del Gruppo.
Ho scordato qualcosa? Chiedo venia. Si terranno altre iniziative? Nessuno lo può sapere. Non si sono citati nomi appositamente perché il compleanno è del GGN, ci si è mossi come gruppo e ognuno ha fatto la sua parte in base alle proprie possibilità, al tempo a disposizione e la propria voglia. Si ringraziano gli sponsor che hanno elargito graditissimi contributi, un po’ meno quelli che li hanno promessi e poi…cucù merlo.
Auguri GGN! E occhio che dieci anni fanno in fretta a passare, prepariamoci a festeggiare i quarant’anni che sono un traguardo ancora più importante.

L’ALLIEVA

Prima uscita di corso e non so neanche quanti siano gli allievi, mi sono perso tutta la parte teorica con quelle lezioni pallosissime e pure le palestre, poco male. Come se non bastasse, questa mattina ci si è divisi in due gruppi: io, un altro istruttore e un allievo entreremo dopo. La grotta non la conosco, poi per me sono tutte uguali e me le confondo che è una meraviglia. Comunque è sub orizzontale e senza alcuna difficoltà particolare. Se saremo abbastanza veloci riusciremo a raggiungere gli altri in poco tempo.
So che sono quattro o cinque allievi, forse una femmina e quattro maschi, o tre maschi e due femmine o forse due femmine, due maschi e un trans, non ho capito bene. Uno fa il collaudatore di materassi, un altro il palombaro e uno, mi pare, il tecnico progettista di trottole, gli altri non lo so.
Comunque sia siamo arrivati all'ingresso del pertugio: entrano il collega istruttore e l'allievo che è il trottolaio: io chiudo. Si procede in scioltezza parlando di trottole. Ad un certo punto perdo il contatto ma non mi preoccupo, è un unico condotto senza rami laterali. Vedo una luce, eccoli, dal fascio meno potente rispetto al super led, deduco sia l'allievo trottolaio, mi avvicino. No, non è lui, mi sembra una fisionomia femminile non conosciuta, sarà l'allieva. Si gira. Pofferbacco! Che fanciulla di somma beltade. Due occhi verdi come smeraldi mi guardano curiosi e intriganti. Ohilà, mi presento e istintivamente faccio un inchino, ma una stalattite non vista mi coinvolge in una poco elegante e imbarazzante cornata. Lei ride mostrando dei denti bianchi e splendenti come avevo visto solo nelle pubblicità dei dentifrici. Mi fa cenno di continuare: io sono sudato e infangato, lei invece emana un profumo inebriante e la sua tuta che prima mi sembrava da metalmeccanico, ora appare lucente e attillatissima mettendo in evidenza curve e sinuosità che mi fanno crescere le pulsazioni cardiache e l'affanno. Come mai l'hanno lasciata indietro, da sola, gli altri del gruppo? Si sono rincitrulliti? Non sarà mica il trans. Ohibò! La guardo bene, no, ne sono certo, non sta transitando da un sesso all'altro, è chiaramente ben collocata nel suo dalla nascita. Cammina veloce e sicura mentre io arranco alla ricerca dell'equilibrio. Rallenta, mi aspetta, mi guarda e sorride maliziosa. Mai capitata una cosa simile in grotta (e neanche fuori!). Non sarà mica un po' suonata? Sento il suo profumo e provo una strana sensazione, anzi no, la sensazione è molto chiara. Sta girando testosterone grosso come una pantegana. Come ti chiami giovine allieva? Sorride, mi guarda intensamente e mi accarezza lievemente il volto. Mi emoziono e scivolo. Mi rialzo cercando di riacquistare un po' di contegno; ancheggiando come una modella ad un defilè, continua il suo cammino nella grotta. Gli altri non li vedo nè li sento, ma, chissà perchè, non mi interessa molto. Quella compagnia mi basta. Mi domando se un rapporto ipogeo è da considerarsi comunque fedifrago, oppure, visto che si è sottoterra, certi comportamenti vanno intesi in modo diverso. Temo che la consorte abbia idee ben precise in proposito. Sono tutto un ribollire con questa creatura che mi gironzola attorno. Ad un certo punto si piega, la tutina si allenta e la scollatura profonda mette in evidenza due prorompenti argomenti che, dalla notte dei tempi, fanno felici giovanotti e gentiluomini. Che faccio? Le salto addosso: così poi mi becco una denuncia per speleo-violenza sessuale. Mi trattengo: ma cosa penserà poi, la donzellina? Accidenti che situazione imbarazzante. Faccio così: io non le salto addosso, ma se fosse lei a zompare su di me, non opporrò resistenza, non fosse altro che per educazione. Questa allieva non la lasceremo andare via, la terremo ben stretta in gruppo. Se poi mettesse troppo scompiglio e iniziasse a girare testosterone aggressivo? Il gruppo potrebbe andare in tilt. Meglio lasciare andare le cose senza forzarle. Non siamo un club per cuori solitari,ma degli speleologi lanciati verso la ricerca, lo studio e la divulgazione del mondo sotterraneo. Abbiamo una missione di tipo scientifico che si concretizza con ambite pubblicazioni di notevole levatura che tutti ci invidiano e di cui bramano il possesso. Giusto! però che fianchi ha 'sta ragazza, difficile distogliere lo sguardo, sarei tentato di darle una palpatina, senza malizia, solo di tipo conoscitivo, per tastare la consistenza, con discrezione. Da sotto lo strano caschetto si intuisce una folta e luminosa chioma color del miele. Parla poco la ragazza, non che la cosa mi disturbi, per la verità non ho ancora sentito la sua voce, solo qualche flebile bisbiglio. Inoltre non ho capito il suo nome, forse non me lo ha neppure detto.
Procediamo spediti in questa grotta che sembra non avere mai termine. Ecco finalmente le luci degli altri, sono al fondo. La ragazza si ferma, mi guarda, si avvicina leggera e mi caccia la lingua in bocca in un bacio alla francese che neanche Sarkozy ha mai dato alla Carletta Bruni. Resto lì come un pirla per qualche secondo, gli altri, nel frattempo, arrivano impegnati in una animata discussione sulle trottole dove ognuno ha ben precise e radicate opinioni in proposito. La ragazza è sparita. Chiedo se manca qualche allievo ma ci sono tutti, nessuno si è perso.
Chiedo anche come si chiama la grotta: è la grotta della Fata Silenziosa. Uno degli istruttori, sempre bene informato, spiega che una vecchia leggenda senza senso, narra di una splendida fata che vive in questo posto e che ogni tanto si mostra a qualche visitatore che sia gentile, casto e puro e che apprezzi la sua compagnia senza secondi fini.
Si vede che la fatina, in tutto questo tempo, deve aver perso la capacità di leggere le reali intenzioni delle persone. Io la sua compagnia l'ho apprezzata, ma che i miei pensieri siano stati proprio casti e puri...
Post Scriptum
Per la famiglia: questo scritto è frutto esclusivo della mia fantasia per far cortesia ai redattori di Labirinti. Non ho mai visitato alcuna grotta della Fata Silenziosa, non mi sono mai imbattuto in fate sbaciucchione e non ho mai avuto pensieri peccaminosi e licenziosi con qualsivoglia allieva.
Per il ggn: le lezioni teoriche non sono mai pallosissime ma sempre di travolgente coinvolgimento.
Per i trottolai ( progettisti e venditori): ritengo la loro attività e i loro prodotti di fondamentale importanza per l’economia nazionale e per il pil.